La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28593 pubblicata il 6 novembre 2024, ha affrontato, riguardo al fondo patrimoniale, il tema dell’azione revocatoria, tracciando il confine tra l’inefficacia dell’atto revocato ed i successivi diritti acquisiti da terzi. Nello specifico la Suprema Corte ha approfondito le conseguenze di tale azione su eventuali successivi trasferimenti a terzi dei beni vincolati nel fondo.

Nel caso di oggetto, nell’ambito di una procedura fallimentare, un creditore proponeva e vedeva accolta l’azione revocatoria dell’atto costitutivo di un fondo patrimoniale, in cui il fondatore aveva conferito beni immobili di sua proprietà, ritenendo che il debitore avesse pregiudicato le proprie ragioni creditorie. Nello specifico l’azione revocatoria era rivolta ad eliminare il vincolo di destinazione sui beni del fondo, consentendo quindi alla procedura l’esecuzione forzata sugli stessi. Alcuni beni però nel frattempo erano stati ceduti a soggetti terzi che avevano correttamente iscritto i relativi atti prima del pignoramento. Il creditore aveva dunque promosso una procedura espropriativa nei confronti di questi ultimi. I giudici di primo grado e la Corte d’Appello avevano ritenuto insussistente il diritto a procedere, poiché l’accoglimento della revocatoria non comportava l’inefficacia di un separato e successivo atto di alienazione che il debitore aveva concluso e che non derivava, direttamente o in via mediata, all’atto revocato, in virtù del principio di priorità della trascrizione.

Il fondo patrimoniale è un negozio giuridico mediante il quale un soggetto crea un patrimonio separato in cui vincola determinati beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Tale patrimonio viene distinto quindi dal proprio ed i beni sono in parte sottratti alla garanzia patrimoniale generica prevista dall’art. 2740 c.c., quantomeno per quei creditori che non hanno diritto di soddisfarsi sui beni del fondo. Tale vincolo di destinazione preclude le azioni esecutive sul fondo per i “debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. I creditori che non hanno diritto a rivalersi sui beni nel fondo patrimoniale possono esercitare l’azione revocatoria per ottenere l’inefficacia dell’atto costitutivo. Ai sensi dell’art. 2902 comma 1 c.c., il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato. Tuttavia, il fondo patrimoniale non costituisce un atto dispositivo, a fronte del quale si rende applicabile la suddetta norma, poiché i beni restano nel patrimonio del conferente, seppur sottoposti a un vincolo di destinazione, con la conseguenza che il creditore non può esercitare le azioni esecutive che gli spetterebbero se fosse stato compiuto un atto di disposizione vero e proprio.

La Suprema Corte, confermando l’impostazione dei giudici di merito, ha ribadito il principio secondo cui l’azione revocatoria determina un’inefficacia relativa, circoscritta esclusivamente all’atto revocato. Gli atti autonomi di alienazione, come nel caso dei terzi acquirenti che avevano trascritto i propri titoli prima del pignoramento, restano validi e opponibili alla curatela. La Corte con questa sentenza ha ribadito la centralità del principio di pubblicità immobiliare. La trascrizione infatti rappresenta uno strumento di tutela dei terzi a garanzia della certezza delle transazioni.

La Cassazione ha enunciato quindi il seguente principio di diritto «L’azione revocatoria di un atto di costituzione di un fondo patrimoniale tra coniugi determina, ad esclusivo vantaggio del creditore attore, l’inefficacia unicamente del vincolo di destinazione con tale atto generato, ma non anche dei successivi atti di disposizione in favore di terzi dei beni conferiti nel fondo, siccome atti non dipendenti dall’atto di costituzione dello stesso.»

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