La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25684 del 22 settembre 2021, ha chiarito che il denaro versato su di un conto corrente cointestato a due coniugi, ma alimentato unicamente da versamenti di uno solo dei due, non appartiene automaticamente ad entrambi.
La Corte ha respinto il ricorso di un uomo che aveva ricevuto un avviso di accertamento sul denaro prelevato illecitamente dal conto corrente cointestato con la moglie poiché le somme in esso depositate erano riconducibili unicamente a quest’ultima.
Sebbene ai sensi dell’articolo 1298 c.c. il denaro depositato su di un conto cointestato si presuma di proprietà dei titolari in parti uguali salvo prova contraria, la cointestazione può configurare una donazione indiretta solo quando sia verificabile l’esistenza dell’“animus donandi” e cioè che il proprietario del denaro avesse uno scopo di liberalità nel momento della cointestazione stessa.
La Cassazione ha inoltre ricordato in tema di imposte sui redditi che i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art. 6, comma 1, del DPR 22 dicembre 1986 n. 917, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati o se in capo all’autore del reato sussisteva l’intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio, ma di riversarle a terzi.
Secondo la Suprema Corte quindi, il denaro è di entrambi solo se si prova l’effettiva volontà di chi versa di fare un’elargizione al coniuge.
Il versamento di una somma di danaro sul conto corrente cointestato non costituisce di per sé un elemento concreto che configuri un atto di liberalità ed il prelievo da conto cointestato rappresenta, nella fattispecie, un provento imponibile ai fini dell’Irpef.