La Suprema Corte si è pronunciata nelle scorse settimane in tema di tassazione applicabile ai patti di famiglia disciplinati dagli art. 768 bis e seguenti del Codice Civile.
La definizione di patto di famiglia è contenuta nell’art. 768 bis c.c.: “È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.
L’imprenditore pone quindi in essere una sorta di successione anticipata riguardante l’attività d’impresa, mettendo previamente d’accordo tutti coloro che assumerebbero la qualità di legittimari ed evitando che l’azienda o le partecipazioni cadano in comunione o siano oggetto di future liti. Unici destinatari dell’attribuzione possono essere i discendenti (non necessariamente i figli). Ai fini di una valida opponibilità, devono partecipare al patto tutti i legittimari alla successione dell’imprenditore.
A seguito della stipulazione del patto di famiglia la quota di legittima è convertita in un diritto di credito immediato ed esigibile. Infatti, gli assegnatari devono liquidare agli altri partecipanti (sempre che questi non vi rinuncino) una somma corrispondente al valore di quanto ricevuto.
La presenza necessaria di un conguaglio a favore degli altri legittimari differenzia i patti di famiglia da qualsiasi altra donazione.
Dal punto di vista tributario non vi è una disciplina che regoli espressamente la tassazione ordinaria di questo tipo di negozio.
La Suprema Corte fino ad oggi aveva ritenuto, con la sentenza n. 32823/2018, che le attribuzioni effettuate dal legittimario assegnatario a favore del legittimario non assegnatario fossero tassabili come attribuzioni tra fratelli e sorelle e quindi applicando l’aliquota del 6%.
La Suprema Corte cambia orientamento
Con la sentenza 29506 del 24 dicembre 2020 viene radicalmente invertita la precedente posizione. Nel patto di famiglia, per volontà del disponente, si origina un obbligo di compensazione in capo al legittimario assegnatario che la Cassazione ritiene ora debba essere tassato alla stregua dell’assegnazione effettuata direttamente dal disponente e quindi con aliquota pari al 4%.
Per finire, la giurisprudenza di vertice ha chiarito che l’esenzione dall’imposta di cui all’art. 3 comma 4-ter D.lgs. 346/90 si applica al patto di famiglia solo con riguardo al trasferimento dell’azienda e delle partecipazioni in favore del discendente beneficiario e non alle liquidazioni operate da quest’ultimo in favore degli altri legittimari.
Art. 3 comma 4-ter D.lgs. 346/90
“I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile.
Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio”