La Corte di Cassazione – Sezioni Unite con la pronuncia n. 13143 del 27 aprile 2022 ha affermato che il presupposto della responsabilità solidale è l’imputabilità del fatto dannoso a più persone, anche in presenza di condotte lesive tra loro autonome e con titoli di responsabilità diversi.
Nel caso in esame gli attori agivano reclamando un diritto al risarcimento per perdita dei loro capitali affidati a due società fiduciarie. Le società fiduciarie in questione erano amministrate contra legem, nonostante fossa stata loro revocata l’autorizzazione ministeriale ad operare e fossero sottoposte a liquidazione coatta amministrativa. Secondo gli istanti, quindi, poiché le società operavano sprovviste di autorizzazione ministeriale, il danno da loro subito doveva essere imputato al Ministero dello Sviluppo Economico, avendo lo stesso omesso di esercitare il controllo su dette società. In primo grado il tribunale aveva condannato il Mise al pagamento di una somma pari al capitale investito con rivalutazione e interessi legali. La decisione veniva appellata dal Mise. La Corte d’appello, quindi, riteneva fondato l’addebito di omessa vigilanza. In particolare, la Corte rilevava che nessuna prova era stata fornita a proposito dell’avvenuto anche parziale recupero di somme da parte dei fiducianti a seguito dell’insinuazione al passivo e che il danno, costituito dal mancato recupero del capitale, era “immediatamente e direttamente correlabile alla mala gestio delle due società non tempestivamente intercettata e sanzionata dall’organo di vigilanza, senza rilevanza, dal punto di vista causalistico, della asserita aleatorietà dell’investimento in sé”.
Le Sezioni Unite in ultima istanza hanno affermato che “per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti, l’art. 2055 c.c., comma 1, richiede che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte secondo il criterio di cui all’art. 41 c.p., e quindi solo che il fatto dannoso sia in questo senso imputabile a più soggetti, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuno, e anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso – considerata normativamente – deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche violate”.
La conclusione, secondo la Suprema Corte, non differisce nemmeno ove si tratti del danno derivante dalla perdita di capitali conferiti a società fiduciarie e ciò soprattutto se quest’ultime siano state dichiarate insolventi e sottoposte a procedura concorsuale.
Le società fiduciarie nell’ambito della loro attività ordinaria, soggetta ad autorizzazione e a vigilanza del Mise, assumono, secondo lo schema del mandato senza rappresentanza, l’amministrazione di beni per conto di terzi divenendo destinatarie della sola legittimazione all’esercizio dei diritti relativi agli stessi beni conferiti, senza che avvenga un trasferimento effettivo della proprietà. I fiducianti restano quindi proprietari dei beni da loro affidati alla fiduciaria e a questa strumentalmente intestati. Nello specifico, il mandato ad investire danaro, anche se rimette alla discrezione professionale della società fiduciaria l’opzione tra le diverse ipotesi di investimento, costituisce comunque un patrimonio separato da quello della fiduciaria stessa e, pertanto, non aggredibile dai creditori di quest’ultima e l’eventuale mala gestio dei beni dei fiducianti non comporta una lesione all’integrità del patrimonio sociale della fiduciaria, bensì di quello dei fiducianti medesimi.
Ne deriva che la società fiduciaria che non sia in grado di riversare il capitale ai mandanti perché divenuta insolvente, risponda essa stessa del danno correlato all’inadempimento del mandato ed alla violazione del patto fiduciario: “la perdita del capitale conferito espone la società fiduciaria al risarcimento del danno da inadempimento del mandato ad amministrare”, pertanto la relativa obbligazione, anche quando azionata mediante l’insinuazione al passivo, è pur sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato.
Le Sezioni Unite hanno quindi chiarito che la società fiduciaria “risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand’anche azionata mediante l’insinuazione concorsuale, e quand’anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un‘obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato, la quale concorre, ai sensi dell’art. 2055 c.c., con quella eventuale dell’organo (il Mise) chiamato a esercitare l’attività di vigilanza”.