Con l’ordinanza n. 36080 pubblicata il 23 novembre 2021, la Corte di Cassazione, ha ribadito che il chiamato all’eredità, in possesso dei beni del de cuius, non può rinunciare all’eredità stessa ai sensi dell’art. 519 del Codice civile, se non compie l’inventario entro tre mesi dal giorno di apertura della successione o dal giorno del ricevimento della notizia del decesso del de cuius.
Ai sensi dell’art. 485 del Codice civile, quando il chiamato all’eredità è nel possesso dei beni ereditari, l’unico modo per evitare di diventare erede puro e semplice (rispondendo quindi di eventuali debiti del de cuius anche con il proprio patrimonio personale) è quello di compiere l’inventario dei beni, entro tre mesi dall’apertura della successione.
Compiuto l’inventario, il chiamato ha quaranta giorni di tempo per deliberare se rinunciare all’eredità o se accettare con beneficio d’inventario.
Caso in esame
Nel caso di specie, i chiamati avevano rinunciato all’eredità solo in seguito ad un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia Entrate per il pagamento di alcuni debiti tributari del de cuius.
Il ricorso proposto dagli eredi era stato accolto in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di competenza sul rilevo che la rinuncia operata fosse efficace ed avesse effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 del Codice civile. In secondo grado la Commissione Tributaria regionale aveva rigettato l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, confermando quanto stabilito in primo grado, atteso che non era stato provato che gli eredi rinunciatari si trovassero effettivamente nel possesso dei beni e che dunque fossero tenuti a redigere l’inventario.
La Corte di Cassazione, ribadendo in prima battuta quanto dalla stessa espresso nella sentenza n. 4845 del 2003, ha sottolineato che, se il chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari non compie l’inventario nei termini previsti, non può rinunciare all’eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori diventando erede puro e semplice.
Inoltre, con riguardo al possesso dei beni, ha rilevato che i chiamati all’eredità risultavano avere il domicilio nello stesso immobile in cui aveva il domicilio il de cuius.
La decisione è stata quindi cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, per un nuovo esame, la quale dovrà provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.