La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 24684 del 14 settembre 2021 ha chiarito che l’alienazione di un bene ereditario effettuata da un erede apparente, che non abbia anteriormente trascritto la sua accettazione, non è opponibile all’erede vero che abbia trascritto la sua posteriormente alla cessione stessa.
La trascrizione dell’atto di cessione non può né fungere come prova dell’accettazione opponibile all’erede vero o a terzi, né la trascrizione a fini fiscali non può sostituire o surrogare quella curata ai fini dell’art. 2648 c.c.
Caso in esame
Nel caso di specie il fratello ed i discendenti del fratello premorto del de cuius erano subentrati ai beni del defunto per successione legittima in parti uguali. Il fratello superstite, dichiarandosi unico erede aveva alienato un immobile compreso nell’asse ereditario ad un terzo.
Il Giudice ha accolto la domanda dei discendenti del fratello premorto i quali richiedevano il riconoscimento della loro qualità di eredi e del diritto alla metà della massa ereditaria, mentre ha respinto l’appello proposto dal terzo acquirente.
La normativa italiana in alcuni casi specifici tutela le transazioni effettuate con l’erede apparente perché per il compratore non è sempre agevole verificare la validità dell’atto con il quale il venditore è divenuto proprietario del bene.
L’art. 534 comma 2 del Codice Civile infatti recita: «Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l’erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede».
Nel caso di alienazione d’immobili lo stesso art. 534 al comma 3 specifica che «La disposizione del comma precedente non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri, se l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente».
Per salvare il proprio acquisto, inoltre, il terzo deve provare la propria buona fede e cioè che ritenesse, per ignoranza od errore, che il venditore fosse davvero l’erede: tale buona fede deve sussistere al momento della conclusione del contratto e non può essere presunta, dovendo invece essere provata nel processo.
La trascrizione a nome dell’erede apparente non gode di autonoma rilevanza; egli, infatti resta sempre soccombente rispetto al vero erede.
Può assumere rilevanza solo se seguita dalla trascrizione dell’alienazione a favore del terzo effettuata prima di quella nell’interesse dell’erede vero.
Quest’ultimo qualora non riesca a recuperare il bene alienato al terzo può rivalersi sull’erede apparente per la restituzione del prezzo di cessione.
La risposta della Cassazione
La Cassazione quindi, confermando quanto disposto dalla Corte d’Appello, ha negato la prevalenza dell’acquisto dall’erede apparente non solo per il difetto della doppia trascrizione anteriore a quella dell’erede vero, ma anche per il difetto di prova della buona fede da parte dell’acquirente.
La buona fede è requisito autonomo della fattispecie, che in questo caso non è presunta e va positivamente provata dal terzo.Tale buona fede, «perciò, avrebbe dovuto costituire oggetto di impugnazione, mentre i motivi di ricorso investono la decisione solo relativamente alla questione della doppia trascrizione, conseguendone l’inammissibilità della impugnazione per difetto di interesse».